Il ritratto e la scrittura. Fotografare volti e scrivere vite
Noi siamo tempo rappreso … pieghe, rughe, espressioni scavate dalla felicità e dalla malinconia non solo segnano un viso, ma sono il viso di quella persona, che non ha mai soltanto l’età o lo stato d’animo di quel momento, bensì è l’insieme di tutte le età e gli stati d’animo della sua vita. [C. Magris, L’infinito viaggiare]
L’esperienza di un ritratto
Storica dell’arte e traduttrice, da un po’ di tempo mi dedico alla scrittura biografica. Nel mio percorso sulla scrittura di sé raccolgo e intreccio i fili che negli anni si sono creati a corredo e sullo sfondo delle mie attività e delle mie competenze. Interessi e attitudini per la storia delle cose (oggetti d’arte e oggetti comuni), per l’iconografia di personaggi (ritratti e monumenti), per le biografie di persone più o meno note e per le storie di “persone qualunque”.
Scrivo di me per non ridurmi a essere solo la carne che mi resta addosso. Scrivo le vite altrui per restituire a ciascuno la propria storia.
Nell’ambito di questo progetto sulla scrittura di sé ho ritenuto fondamentale un lavoro sul ritratto, con la consapevolezza della mia resistenza a farmi fotografare. Farmi fare un ritratto fotografico? Vestirmi bene, truccarmi, mettermi in posa seguendo le istruzioni del fotografo? Cioè in uno studio fotografico, con attrezzatura, set fotografico, assistenti, tutte luci e occhi puntati su di me? Ma io non ci sono mai nelle foto, nemmeno quelle spontanee, figurati se mi faccio fotografare da un fotografo in studio. Appunto perché non ne hai.
Eh già, non ho foto recenti (e per “recente” intendo gli ultimi vent’anni), né di gruppo, né spontanee (giusto perché ero lì con gli altri o perché mi sono girata nel sentire il mio nome), né tanto meno in posa.
Ma ho bisogno di un ritratto: per capire che cosa vedono gli altri nel mio volto, per guardarmi con gli occhi dell’altro, per specchiarmi nell’altro e farne una bussola per il mio navigare, per mettere un puntino sulla mappa e guardarmi indietro tra qualche anno o tra molti anni. E questo è ciò che serve al mio lavoro e alla mia scrittura. Ma anche, più prosaicamente, vorrei avere belle foto di me, da mostrare e con cui presentarmi, attraverso le quali farmi riconoscere. Dei bei ritratti da tenere per me, per guardarmi nei momenti no, oppure tra vent’anni.
Una cosa bella fatta egoisticamente per me stessa: non solo i bei ritratti che ora ho, ma anche l’esperienza dell’essere fotografata, da Marco Rossato.
Un primo incontro nello studio di Marco per vederci, per parlare delle mie aspettative, del suo lavoro, per chiacchierare e per conoscerci, perché vedesse come mi muovo, come comunico, cosa comunico. È stato facile: Emanuela e Marco sono autentici, e perciò spontaneamente abili a metter le persone, perfetti sconosciuti, a proprio agio. Un primo incontro per prendere confidenza uno dell’altra, e in fondo l’ho fatto senza riflettere troppo sull’incontro successivo, quello in cui avrei dovuto posare. Compiti per casa: “Che tipo di foto ti piacciono e vorresti?” Non è per niente facile. “Non saprei, fai tu che sei il fotografo.”
Arriva il giorno del secondo incontro, quello decisivo, il giorno delle foto.
Ero piuttosto tesa già dalla sera prima. Tensione per l’appuntamento importante, e tensione per abbigliamento, trucco e parrucco, che è la prima impressione che faccio. Sono due tensioni in tensione tra loro, mi concentro sulla prima, ma la seconda interferisce e mi fa sentire inadeguata, è sempre così. Tensione e inadeguatezza sono le due parole chiave, che svaniscono senza lasciare traccia non appena metto piede nello studio e vengo accolta da Marco ed Emanuela.
Al temine della lunga giornata, bella e proficua, mi rendo conto di quanto fossero inutili le preoccupazioni sul mio aspetto e sul mio abbigliamento, fondate su basi inconsistenti, che però erano da parecchio tempo il mio copione: inadeguata alle situazioni, fuori posto, non mi so vestire, non mi so truccare, non so muovermi, sono rigida… E invece sono così come sono e va bene così.
Ed è stato facile. Marco ha scattato solo primi piani. Perché di me parlano le mani e il volto, gli occhi, le espressioni, le rughe, i capelli, il sorriso, il naso. Ho capito come leggere il mio sorriso, che non mi è mai piaciuto.
Questa esperienza del ritratto fotografico fa parte del percorso autobiografico che sto facendo, e mi è servito più di quanto avevo immaginato: tre incontri (chiacchierata, giornata dedicata, scelta degli scatti) che hanno contribuito a scardinare convinzioni e abitudini di vecchia data.
Marco è un fotografo appassionato e sensibile, sa cogliere, sa vedere il cuore delle persone e lo fa con passione, mettendoci il tempo che serve, senza guardare l’orologio (l’ora di una pasta al pomodoro arriva comunque, e c’è tempo anche per quella). È un bravo fotografo, preparato e competente.
Marco scrive con la luce il tuo viso, coglie l’attimo in cui è racchiuso anche il tuo passato, io scrivo con carta e penna la tua vita che mi vuoi raccontare, e ti restituisco la tua storia.